Un anno di Smart Working

Un anno di Smart Working

Forse il tema è impopolare, visto le tante persone a cui la pandemia ha strappato via il lavoro. Ma siccome il dibattito è ancora caldo, quest’anno pieno pieno di smartworking per me ha significato: lavorare di più, lavorare con più stress, lavorare senza orari e senza weekend; lavorare tanto con la convinzione generalizzata che si stia in vacanza; lavorare al cellulare mentre prepariamo la pappa alla bambina; lavorare mentre diamo da mangiare alla bambina; lavorare mentre si cambia un pannolino o si fa un bagnetto; lavorare con la bimba in braccio o lavorare mentre mia moglie lavora con la bimba in braccio; fare call di lavoro con rumori di fondo di ogni tipo; fare call di lavoro a bassa voce altrimenti la bimba si sveglia; finire di lavorare più tardi del normale orario, “tanto si è a casa”; iniziare a lavorare prima del normale orario, “tanto si è a casa”; dover essere disponibile e reperibile più di prima; dover dimostrare più di prima. Eppure avrebbe tanti, tantissimi vantaggi, lo smart working.

Dovrebbe essere lavoro “intelligente”, tradotto in italiano. E quindi secondo me quello che Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano, così descrive: “Smart Working significa ripensare il telelavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio.”

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