Archivio mensile 27 Marzo 2021

“Confessioni di una Radical Chic pentita”

Conosco Serena da una vita. Siamo amici da sempre, ho seguito le sue avventure in tv e non solo. E sono molto felice di questa sua pubblicazione, inaspettata e a prima vista molto interessante.

E’ il suo primo libro e non vedo l’ora di leggerlo. So che, in qualche modo, riguarda anche me e un passato di vita lavorativa che ora vedo per fortuna molto distante. Brava Serena, scrivere di sè e sempre coraggioso, quindi complimenti.

Autrice, redattrice, copywriter, per oltre dieci anni Serena Di si è divisa tra studi televisivi e radiofonici, redazioni di quotidiani e riviste, agenzie pubblicitarie, set cinematografici, sottoscala, salotti, open space, brainstorming e interminabili file agli aperisushi, percorrendo sulla sua fedele Smart le strade del Belpaese da nord a sud e viceversa. “Confessioni di una Radical Chic pentita” è il suo primo libro, un resoconto dettagliato e tragicomico degli anni trascorsi tra precariato e sogni di gloria, che anche quando si avverano riservano amare sorprese. Una storia d’amore e di speranza, un viaggio che parte con la ricerca delle luci della ribalta e arriva fino all’incontro con Dio, che le ha cambiato la vita.”

Festa del papà

Ed è proprio vero che cambia tutto.

Ti piace anche una “festa comandata”

come quella del papà.

Perché ora sei papà

sei un modello da seguire,

anche se fino a ieri ti sentivi

poco più di niente.

Sei un comico che fa ridere sempre

anche se dice soltanto Bu!

nascosto dietro una tenda.

Sei il più forte di tutti

perché con le tue braccia fai volare in alto

mentre voli anche tu, girando in tondo.

Hai mani grosse e capaci

per aprire un biberon

e prendere giochi in alto, irraggiungibili.

Sei il più intelligente

perché sai cambiare i canali

e mettere i cartoni giusti

perché sai fare una torre alta di costruzioni

alta fino al soffitto, fino al cielo.

Sei il più bravo

Perché sai cucinare la pappa al pomodoro

aprire la busta di patatine

gonfiare le bolle di sapone

fare tante cose, così importanti ora!

Sei il più comodo

pancia-cuscino su cui dormire

fianco morbido su cui vedere la tv.

Sei da abbracciare

sei da inseguire per casa

sei da coccolare

sei tutto, negli occhi di chi è nato da te

e a te guarda con occhi innamorati.

Sei quattro lettere splendenti

parola scolpita nel cuore

sei Papà.

Il panettiere di Milano

In questi giorni, non so perché, ho ripensato un paio di volte al panettiere che aveva un piccolo negozio sotto casa nostra, a Milano. Ormai una vita fa. Stanotte credo di averlo sognato. Era egiziano. Se non sbaglio, dato che sono passati più di dieci anni, mi pare si chiamasse Amir. Era un cristiano copto, una volta mi disse che era quasi scappato con moglie e figli dall’Egitto e sentiva Milano la sua vera casa. Aveva vissuto tante sofferenze, partendo dal nulla, ma ora si sentiva realizzato. In una città in cui non mi sono sentito quasi mai “a casa”, comprare il pane e le focacce da lui era una piacevole routine quotidiana. Aveva una grande croce dorata appesa al muro alle sue spalle e dei grandi occhi profondi, all’apparenza sempre allegri. Io ci ho sempre visto però, anche un velo di tristezza. Ogni tanto scorgevo suo figlio piccolo in un angolo dietro di lui, intento a fare i compiti. Quando mi alzavo di notte per andare a bere – verso le 3, le 4 – sentivo sempre i rumori delle sue macchine per impastare il pane. Per gran parte del giorno era lì, dietro il bancone, e aveva un gesto gentile nei confronti di tutti. Alle volte dopo aver comprato un pezzo di pane e due dolcini diceva “Sciao, bell’uomo!” e mi salutava con la mano mentre andavo via. Nessuno più mi ha chiamato “bell’uomo” in un negozio, e non soltanto perché bell’uomo non sono. Non so perché ho ripensato a lui in questi giorni, forse una forma di nostalgia per la nostra vita precedente (altra città, altro lavoro, altro stile di vita). Quando e se torneremo a Milano, con mia moglie e mia figlia, anche se il suo piccolo negozio non era proprio in centro, passerò a salutarlo. Chissà se si ricorderà di me. Io di lui, della sua storia e dei suoi sacrifici, non mi sono dimenticato.

Conversazione con un alieno

Ieri sera scendo a buttare l’immondizia. A un certo punto, nel buio di fine inverno, un lampeggiare di fari mi abbaglia. No, non sono fari. È una navicella spaziale.

Fa una manovra rapida, con uno sbuffo di polvere e vapori scende giù in picchiata, a poche decine di metri da me. Che stropiccio gli occhi, più volte, senza credere a quello che sto vedendo.

Dalla cabina triangolare scende un alieno smilzo e azzurrognolo. Sarà alto due metri, con la testa enorme. Si avvicina e parla.

Lo capisco benissimo, conosce la mia lingua.

– No, non è vero che parlo la tua lingua, cretino – mi dice – ma noi cittadini di swalazafili, parliamo lo swalazasafilese, ma quando facciamo i nostri viaggi intergalattici portiamo sempre dei comodi traduttori intergalattici. Per questo tu mi capisci, e io capisco te.

– Ah, bene – faccio io, mentre i suoi due grossi occhi gialli e acquosi mi fissano e studiano ogni mio movimento. Sembrano due pesche succose appena sbucciate.

– Stiamo facendo una ricognizione spaziale, ogni tanto noi swalazafiliani ce ne andiamo in giro per le galassie alla ricerca di nuovi pianeti da conquistare e sottomettere.

– Ok – rispondo io, gettando l’umido nel contenitore verde.

– Ti faccio qualche domanda allora,se non ti dispiace.

Annuisco. Tanto l’immondizia l’ho già buttata e Un posto al sole ancora non è iniziato.

– Vorremmo conquistarvi, partendo proprio da questa porzione di terra. Abbiamo visto si chiama Italia, e dai nostri studi sembra essere una delle nazioni più belle di quello che voi chiamate Pianeta Terra. Confermi?

– Beh – faccio io – certo è bella, l’Italia, ma insomma dovendo scegliere e ripartire da zero non so se ci vivrei.

– Come mai?

– Gli italiani sono un po’ strani… Nell’ultimo periodo, poi, stanno dando il meglio di sé stessi.

– Spiega meglio. Prima di colonizzare la terra partendo dall’Italia dobbiamo capire tutte le questioni in ballo. È importante, per noi.

– Capisco. Prendi l’ultimo anno, la pandemia.

– La cosa?

– La pandemia…

– Non capisco.

– Forse il traduttore dalla tua lingua non è aggiornato con tutti i lemmi necessari per un viaggio intergalattico. Siamo in pandemia da un anno, in Italia e nel mondo. In pandemia.

Scandisco bene la parola. Una sillaba dopo l’altra. La mia lingua che si posa delicata sul palato.

– Ah, ok. Va bene, aggiornerò il sistema. E che significa?

– C’è una orribile malattia che sta facendo tanti morti. Molti di questi, sono gli anziani. I nostri genitori, i nostri nonni.

– Ah, ora è chiaro. Anche noi abbiamo spesso di queste cose, sul nostro pianeta. Ci sono dei vermi abominevoli grandi svariate decine di metri che ti mordono e se non ti staccano la testa, ti infettano con un morbo che ti brucia le carni dall’interno…

– Beh, a noi in realtà è un’influenza, ma molto più grave. Può degenerare in polmonite in alcuni casi e sta facendo un bel po’ di morti…

– Ok, capisco. Spiegami meglio…

– è iniziato tutto proprio un anno fa almeno in Italia. Il virus veniva dalla Cina.

– Cina?

– Si un altro paese, molto distante da qui… Lì mangiano con le bacchette, conosci? Vabbè non importa. Da lì poi si è diffuso in tutto il mondo.

– Ma ora è finita, questa malattia?

– Aspetta, ti spiego meglio. All’inizio ci siamo chiusi in casa per evitare di diffondere il virus.

– Bravi, avete fatto bene…

– Non abbiamo mica deciso noi… Ci hanno obbligato a chiuderci in casa, altrimenti la gente se ne stava al bar a prendere lo spritz e lamentarsi che sennò non poteva uscire. Anche quelli che di solito stavano tutto il giorno spalmati sul divano volevano andare in giro a fare shopping.

– E come mai vi hanno dovuto obbligare? Le vostre case sono così brutte che non volete starci dentro?

– No no anzi…abbiamo tutti i comfort…

– E allora non capisco.

– In molti hanno iniziato a sbraitare, a parlare di una dittatura sanitaria, a dire che il virus era costruito in laboratorio, che non esisteva affatto… Se la sono presi Con tutti quelli che scendevano con i cani, quelli che andavano a correre… Quelli che erano costretti ad andare al lavoro.

– Non ti seguo…

– Si lo so, ti sto spiegando male. Ma non è semplice da riassumere, ed era per dirti che la gente a casa non voleva starci, ma poi alla fine c’è stata. Abbiamo visto un sacco di serie TV, mangiato pizze, cantato dai balconi… Un mio amico faceva 10 kg di pane al giorno.

– ???

– Dai balconi sì, canti balli chitarre… Bello.

– E così ne siete usciti.

– nooooooo, che dici. Poi è arrivata l’estate.

– e allora?

– Beh, la vacanza no? Tutti al mare, balli, aperitivo alla sera sul mare, le foto per Instagram iniziavano a scarseggiare… Per due mesi abbiamo fatto un po’ come cazzo ci pareva.

– E poi?

– Contagi di nuovo impennati. Una curva che cresceva. Uh, se cresceva.

– Ah.

– Sì sì… E poi non ti dico. Si è iniziato a parlare di vaccino, ma i NoVax hanno detto ‘ma senza sapere cosa c’è nel vaccino io non mi sparo nulla in vena’, magari fumando una sigaretta dopo essere andati a mangiare al McDonald’s. E poi intanto anche la mascherina è tornata obbligatoria e sono arrivati i noMask a dire ‘non ci obbligherete a indossare un pezzo di stoffa sulla faccia’…

– Non è che ti spieghi proprio bene…

– Sono successe così tante cose in quest’anno sto provando a farti una sintesi… Mica è facile!

– Ok…

– Ok. Continuo?

-Continua.

– Intanto il vaccino è arrivato. Però i ragazzi che prima non andavano a scuola e restavano a casa e poi andavano a scuola coi banchi a rotelle e poi sono tornati a fare lezione da casa, hanno iniziato a protestare perché volevano andare a scuola e tornare a vivere…

– …

– E intanto però la parte produttiva del paese non si è fermata. In fabbrica ci sono andati tutti a prendersi il virus, nelle metro affollate, negli uffici in 5 in 10 mq…

– E poi?

– Però i bar sono rimasti chiusi. Anche i ristoranti. Poi i bar aperti al mattino e chiusi la sera. I ristoranti ok a pranzo e poi dopo le 18 solo da asporto… poi aperti a singhiozzo. Poi hanno detto che aprivano e il giorno prima hanno bloccato tutto.

– Mi sto perdendo di nuovo.

– Lo so, ma non è facile da spiegare. Però sto provando a dirti le cose come stanno. Volete invadere l’Italia, no? intanto, il nostro premier andava spesso in TV la sera a dirci che la situazione peggiorava, poi migliorava, poi peggiorava… Era diventato un bell’appuntamento, accendevi la TV e sapevi che le regioni cambiavano colore, che le misure diventavano più o meno stringenti…. Regioni colorate coi pennarelli. Siamo come tornati bambini con gli album da colorare.

– Quindi poi le cose hanno iniziato ad andare meglio.

– Macché! Tutti hanno iniziato a fare un po’ come volevano, si erano stancati… i medici e gli infermieri che a marzo erano eroi, hanno iniziato a prendersi pure degli insulti… Una roba che non ti dico. Ah, poi nessuno controllava più.

– Ma che c’entra, non seguivate le regole?

– Se nessuno controlla, in Italia, le regole? Ma che vieni, dallo spazio? Ah sì… vieni dallo spazio. Eh no, noi senza i controllori le regole non le seguiamo.

– Ah

– Ti spiego meglio. C’è la regola di non assembrarsi, ma a Milano o sul lungomare di Napoli o in centro a Roma, è una bella giornata… La gente se non le vieti esplicitamente di fare cose fa un po’ come vuole, baci, abbracci, balli, discoteche cocktail, sesso per strada, slinguazzamenti vari… Sì lo so, a te che vieni dallo spazio la cosa non torna, manco tanto a me… Ma tant’è. Con la polizia, discorso diverso.

– La polizia?

– Sì, le forze dell’ordine a controllare…

– E non ce le mettete?

– Non ce ne sono abbastanza per controllare tutti, ma le regole, in teoria, dovrebbero bastare da sole.

– Inizia a farmi male la testa… Non so se questo è il posto giusto da colonizzare…

– Ma aspetta, non è ancora finita! Sono iniziati i vaccini. Dei novax ce ne frega poco, guarda non te ne voglio neanche parlare, anche se li obbligherei a vaccinarsi a calci in culo.

– Il vaccino?

– Sì, hanno scoperto a tempo di record come fare a non farci ammalare facendoci una o due punturine. prodigi della scienza, siamo fortunati, in meno di un anno ce l”hanno fatta. Roba fantascientifica. Solo che in Italia va tutto molto a rilento, sai, organizzazione, burocrazia… Hanno preferito allestire eleganti padiglioni a forma di primula e fare campagne di comunicazione, invece di partire spediti e vaccinare quante più persone possibile.

– E ora?

– Eh, bella domanda… ne vacciniamo neanche due milioni al mese, siamo più di 60 milioni qui in Italia, fatti due calcoli… prima del 2023 non ne saremo fuori. Poi ci sono polemiche ogni giorno. Vacciniamo prima gli anziani, prima i giovani, prima le categorie che producono… ma basta che andiamo di fretta, dico io! O no? Anche se adesso abbiamo avuto una settimana di Sanremo, quindi tutto sospeso per parlare di Amadeus, Fiorello, Orietta Berta e i Maneskin… Hanno vinto l’oro, sai? Intanto sta per arrivare la primavera, poi l’estate, di nuovo si riverseranno tutti in strada, come fare a bloccare una popolazione così stupida e incapace di rispettare le regole?

– Guarda, non lo so ora come ora. Mi hai fatto venire un mal di testa. E la mia è una testa così grande, credimi, non è proprio piacevole avere mal di capoccia con un testone come il mio.

– Capisco, capisco, anche io quando ho una giornata di lavoro pesante ho la testa che mi scoppia. E senti, allora inizia a fare freddo qui, io sono sceso in ciabatte e tuta a buttare l’immondizia. Valuta se è il caso, prendete le vostre decisioni. Se colonizzarci o meno. Io rientro, ok?

– Sì dai, ci pensiamo un po’ su e riferisco ai miei superiori. A naso, mi pare che stiate belli incasinati già di vostro. Magari vi invadiamo l’anno prossimo, se le cose vanno meglio, ok?

– Ok. dai, spero di rivederti, magari avranno vaccinato anche me, nel 2022 o nel 2023… Una bella invasione aliena, con calma, me la farei con piacere.

L’alieno smilzo e alto, con la sua andatura dinoccolata e la testa enorme, rientra nella sua navicella visibilmente scosso, scuotendo la testa. Io ho provato a raccontargli tutto quello che è successo durante gli ultimi 365 giorni, spero di non aver dimenticato niente.

Sinceramente, l’ho visto un po’ sconvolto. Mi sa mi sa che alla fine non ci invadono.