Santi, poeti, commissari tecnici di Angelo Orlando Meloni.
Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro” così scriveva Pier Paolo Pasolini, come sempre intercettando perfettamente una profonda verità all’interno della società in cui viveva.
Non so se e in che maniera influenzato dalla riflessione di PPP, Angelo Orlando Meloni ha imbastito questa originale raccolta di racconti lunghi a tema calcistico. Ma qui non si parla solo di calcio. In questi racconti ci sono sogni, passioni, storie comuni e meno comuni, un bel po’ di Sicilia, e sono scritti con uno stile ironico e ricchi di personaggi memorabili. Il libro, pubblicato da Miraggi Edizioni, potrebbe riuscire a conquistare anche i non amanti del pallone. Sì, perché Meloni scrive bene, ha nelle sue corde diversi stili e registri, e riesce ad appassionare il lettore, in ognuno di questi sei racconti che compongono la raccolta.
Nel primo, lungo racconto che dà il titolo al volume, l’autore immagina una squadraccia di periferia che non vince una partita manco per sbaglio, ma che grazie all’intercessione della beata Serafina inizia a ingranare. Con i suggerimenti dati al parroco del paese la squadra riesce addirittura a vincere il campionato, sorprendentemente. È il calcio, con i suoi palloni di cuoio sgangherati e i campi di periferia polverosi, a farla da padrone. Il gioco del calcio è il sottile filo che unisce tutti questi ironici, scanzonati e divertenti racconti. Si passa dalla Serie A che rischia la catastrofe a causa dell’ex moglie di un dirigente invischiato con il calcio minore, al racconto di un centravanti alcolizzato che prova a trascinare la sua squadra nel calcio di un certo livello. Nel racconto “Il campionato più brutto del mondo” è appunto il capriccio di una donna a far tremare tutti, e solo una serie di incredibili eventi riuscirà a salvare la serie A. Il racconto “L’aeroplano” è rocambolesco e divertente, con Peppino Petrolito detto “Flashgordon” e Nino “Emozione”, la città di Siracusa e una partita di calcio, Inter Ternana, sullo sfondo. Mentre “Ode al perfetto imbecille” è probabilmente quello più realistico di tutti: la storia di un giovanissimo e bravissimo calciatore, che però non trova spazio in squadra perché non è “raccomandato”, quindi si vede passare davanti il figlio dell’avvocato di turno. Non si premia il talento ma la raccomandazione. Non è questa la fotografia perfetta della nostra società?
La bravura di Meloni sta nel parlare di calcio per non parlare solo di calcio, ma dell’Italia tutta: delle sue storture, dei suoi mali, dei suoi personaggi miseri ma anche dei lati positivi che il nostro popolo, alle volte, riesce a tirare fuori. Il suo libro è ironico e scritto con grande capacità di coinvolgere e di tenere incollati alle sue pagine, grazie a storie e personaggi leggeri ma allo stesso tempo in grado di creare grande empatia nel lettore.
Non ci sono note stonate e anzi tutti i sei racconti sono di pregevole fattura. Il tono tragicomico e scanzonato che pervade l’intera raccolta, è solo uno dei punti di forza di questo libro, che dopo averci fatto sorridere ci fa riflettere, magari con un sorriso a mezza bocca, gli occhi tristi e malinconici. Per chi come noi ha vissuto le curve, l’emozione di vedere 22 scalmanati in pantaloncini rincorrere un pallone, è chiaro che non si tratti affatto del nuovo oppio dei popoli. Ma è una questione molto importante, uno dei motivi per cui vale la pena vivere.
Angelo Orlando Meloni è nato a Catania e vive a Siracusa, dove lavora nella libreria storica della città. Ha scritto i romanzi Io non ci volevo venire qui, Cosa vuoi da grande (Del Vecchio) e La fiera verrà distrutta all’alba (Intermezzi).
Intervista a Run Radio
La scorsa settimana ho fatto un primo passaggio in radio come anticipazione per iniziare a raccontare il mio nuovo romanzo “Lo spazio tra le cose”
Ai microfoni di Run Radio, all’interno del programma #Booklovers spazio dedicato ai lettori e ai libri, ho svelato i primi dettagli su Paolo e Marta, il loro trasloco e la loro storia d’amore.
Girolamo Grammatico, #Esserepadrioggi, Manifesto del papà imperfetto
Girolamo Grammatico, in #Esserepadrioggi, Manifesto del papà imperfetto, realizza un’opera utile a tutti i papà o agli aspiranti padri. Un libro che ribalta le prospettive sulla genitorialità, scardina cliché, offre spunti utili e consigli.
“A Gaia e Gioele, perché mi hanno partorito, nutrito e completato.” Partirei da questa dolce e delicata dedica iniziale per capire l’importanza di questo volumetto agevole e interessante. Un libro che apre la mente e aiuta ad affrontare la paternità in modo diverso.
“Uno dei paradigmi che più ha minato le fondamenta della genitorialità è stata l’idea del “buon genitore”. Non perché sia sbagliato essere un “buon genitore”, ma perché vivere con quest’aspettativa rischia solo di indebolirci e logorarci.” scrive Girolamo nell’introduzione al volume. Mi ci sono rivisto in pieno. Chi affronta la paternità, specie per un primo figlio, si trova spaesato, spiazzato. Ma chi decide cosa è un “buon genitore”? Girolamo Grammatico riflette sul ruolo del genitore e su una sorta di ribaltamento di prospettiva. E riesce a rendere più consapevole il papà sul suo ruolo, con un lavoro continuo che chi diventa genitore deve mettere in atto non per diventare perfetto, ma per migliorarsi un po’ alla volta, come in un costante esercizio fisico.
Il libro è snello e agevole, così diviso: ogni capitolo inizia con un breve racconto autobiografico dell’autore, che parla con le figlie. Dopo si trova testo di coaching sulla paternità e poi si chiude con un allenamento chiamato “workout”, alla fine del quale l’autore segnala uno o più libri dell’infanzia che hanno attinenza con l’argomento trattato nel capitolo.
Il libro, volendo citare l’autore, “è un programma di allenamenti filosofici pratici e non solo, anche e soprattutto legati alle posture dell’essere padre, ovvero a quei modi di guardare e predisporsi alla paternità che partono dall’intenzione interiore.”
Dalla lettura di questo volumetto si comprende soprattutto che non si potrà mai diventare papà perfetti, ma si potrà certo sempre cambiare e migliorarsi. Grammatico guida i papà all’interno di piccole e grandi questioni genitoriali con grande ironia e concretezza.
Leggendo gli aneddoti che riguardano Girolamo, ci si immedesima spesso. È un libro davvero adatto a tutti, a tutti i papà che si sa, non saranno mai all’altezza delle aspettative, ma possono imparare a convivere con l’imperfezione. Con spirito positivo, allenamento, azioni concrete.
Un esempio dell’essere papà imperfetti seguendo il testo di Grammatico: “Il papà imperfetto quindi non chiede solo “come stai?” ai suoi figli o “che cos’hai fatto oggi?”, perché sono domande così vaghe che otterrebbero risposte vaghe. Un papà imperfetto cerca le parole giuste per attivare il potere del racconto nei suoi figli partendo da ciò che vede e sente. Così la prima domanda diventa “ti vedo crucciato, hai un pensiero brutto che abita dentro la tua testa?” e la seconda domanda si trasforma in “mi racconti la cosa più bella che hai fatto oggi? Con chi l’hai vissuta? Perché è stata questa la più bella e non un’altra?”. Il papà imperfetto si informa su tutti i personaggi che abitano le storie dei propri figli e chiede di tal compagno o compagna, di tal amico o amica, della maestra o della signora del forno dove si acquista la buonissima pizza bianca che prendiamo per merenda. Così, racconto dopo racconto, prende forma un cosmo incredibile dove ognuno ha un posto e può esprimere se stesso e immaginarsi.”
Girolamo Grammatico è un life e business coach che si occupa anche di genitorialità. Questo è il suo primo libro di coaching.
Lo spazio tra le cose, in arrivo
Sono stati giorni importanti, giorni di editing e commenti ai margini del testo. Di revisioni e tagli netti. Scrittura e riscrittura. Giorni di scelte.
Abbiamo finito, è tutto pronto. A marzo esce il mio nuovo romanzo, dal titolo “Lo spazio tra le cose”. Sempre per Scrittura & Scritture
Le affacciate di Caterina Perali
Ho letto Le affacciate di Caterina Perali, mi è piaciuto molto e ci ho scritto qualche riga.
Nina è la protagonista di Le affacciate di Caterina Perali, nuovo libro NEO edizioni (dalla copertina pazzesca). Lavora in una grande società di eventi, a Milano, e abita nel quartiere Isola, a due passi dal Bosco Verticale. All’improvviso, Nina perde il lavoro, insieme ad altri colleghi. La sua vita cambia totalmente. La disoccupazione trasforma il suo modo di vivere e affrontare la quotidianità milanese. Niente più aperitivi e riunioni fiume e lavoro fino a notte fonda. Si chiude in casa, e vive a pieno il suo condominio a ringhiera, provando a interfacciarsi coi vari vicini. Nel frattempo mantiene una vita attiva sui social e sulle chat whatsapp, per far finta con amici e parenti che nulla sia cambiato.
Si tiene impegnata, Nina. Il suo condominio nel quartiere Isola è un microcosmo di varia umanità. Lei passa le giornate a contare i chiodi sulle travi del suo soffitto e osservare gli abitanti degli appartamenti, che fino a quel momento le sembravano così lontani.
È così che entra in contatto con Adele, anziana vicina che somiglia vagamente a Carla Fracci e con la quale non era mai entrata in confidenza. Una lettera, però, a firma Svetlana, le fa entrare in confidenza. Adele piano piano sembra aprirsi con la vicina, che intanto, senza più una vita lavorativa, si riversa anima e corpo in questa nuova conoscenza. Conoscenza che si allarga, quando arrivano nell’appartamento altre due donne: Teresita che legge la mano ed è ancora sessualmente molto attiva e Svetlana, la donna grossa e forte, scappata dalla guerra nei balcani e che sul cellulare un selfie con Obama. Una cena a base di lasagne e zuppa di pesce sarà il modo migliore per conoscerle, scoprire il loro passato e il sottile filo che lega le loro esistenze.
La scrittura dei Caterina Perali è ironica e tagliente. Si insinua sotto la pelle. “Le affacciate”, offre uno spaccato di vita contemporaneo e alienante, fatto di social, whatsapp, emozioni aride, poca empatia. Un libro originale, sorprendente. Disseminato qui e lì di frasi folgoranti – “mangiare da soli mette alla prova, quando si è felici. Da infelici, e non per scelta, è una triste constatazione” oppure “siamo capaci solo di mostrarci. Io, il mio dolore e la mia disperazione; lei la sua pazienza e la compassione. Un gioco di ruolo anche per noi, diventate a nostra volta vittime della fragilizzazione delle relazioni, come diceva Bauman”, ancora “ La lamentela è l’alibi perfetto per la solitudine” – , questo romanzo riesce nel farsi leggere rapidamente, perché da lettore vuoi seguire la storia misteriosa delle “tre anziane donne”, capire in che modo siano legate l’una con l’altra. Una storia che si snoda a cavallo tra i decenni, tra la Jugoslavia, la Grecia e Venezia.
Angosciante, teso e visionario, il secondo romanzo di Caterina Perali è strettamente legato al suo primo, Crepa, pubblicato nel 2015. Nina è uno dei personaggi che ritroviamo anche qui, e ritroviamo anche gli altri personaggi di contorno, stessa l’ambientazione ai piedi del bosco verticale. Per chi come me quei luoghi li ha vissuti (dal 2008 al 2013 a Milano e, per pochissimo sarei dovuto andare ad abitare vicino al Bosco ancora in costruzione) questo romanzo ha la duplice funzione di evocare delle situazioni note e di descrivere degli atteggiamenti e dei modi di vivere tipicamente milanesi: il lavoro nel settore eventi, le continue mail, le riunioni, il sentire di non potere non staccare mai, pena l’uscita dai giochi, la scomunica, la dannazione eterna.
Si vede bene che l’autrice quelle sensazioni le ha vissute sulla propria pelle (se non le ha vissute, complimenti doppi), e sa bene anche descrivere il mondo contemporaneo in cui se non sei social non esisti, e sembra normale trascorrere un’intera serata a cena con cellulare in mano a mandare messaggi su whatsapp all’amica di sempre, Anna. Molto interessante, infatti, e quasi “storia nella storia”, la lunga serie di messaggi che Nina e l’amica si scambiano, durante tutta la lunghezza del romanzo. Le due parlano di tutto: lavoro, amore, appuntamenti, morti in mare, politica, attentati. Chat whatsapp, insomma, lo sappiamo bene, in cui i messaggi si susseguono a centinaia e spesso non hanno profondità, servono soltanto a stabilire un vago contatto, senza reale interesse.
I social permettono a Nina di fingere di essere ancora viva e produttiva, nonostante abbia perso il lavoro. Appena sveglia al mattino, i like sulle pagine, i commenti sotto un post, qualche messaggio su Facebook, permettono alla cerchia di amici di avere ancora un contatto. A lei, tutto questo serve per ingannare sé stessa e tenersi impegnata, in quella che è a tutti gli effetti una grande bolla illusoria.
Importanti e ben delineate sono le altre sottotrame che si dipanano da quella principale. La storia di Svetlana ambientata in Jugoslavia, la storia d’amore che vede come protagonista la piccola e misteriosa Adele. Tutte storie che, nel periodo in cui Nina è senza lavoro, servono ad arricchire la sua vita. Senza queste, probabilmente, sarebbe perduta. Servono, in qualche modo, a dare alla protagonista maggiore consapevolezza del mondo che le sta intorno, servono a farle alzare la testa dallo smartphone e guardare ancora in faccia le persone.
Un romanzo dalla forza inaspettata, questo della Perali, che indaga in modo sorprendente nella nostra vita quotidiana. Un romanzo che parla dei nostri tempi, parla di lavoro ma non solo, e che sa essere, allo stesso tempo, divertente e amaro.
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Caterina Perali (Treviso), anno 1975. Dopo gli studi a Venezia si sposta tra Genova e Lisbona per irrequietezza e amore delle città d’acqua. Per falsa coerenza ora vive tra Treviso e Milano, in un quartiere chiamato Isola, dove lavora nella produzione di spot pubblicitari. È stata autrice televisiva, ideatrice di social network fallimentari, sognatrice e collaboratrice per riviste di teatro e food and beverage. Suo il romanzo Crepa (13Lab Edizioni, 2015).