Il lavoro dopo la pandemia: riflessioni su smart working e ritorno alla normalità
Quanti di voi hanno davvero voglia di tornare alla “vecchia vita” sul lavoro? Siamo tutti d’accordo che è necessario trovare il modo per convivere con il virus, tornando a comportarci in un modo più o meno normale.
Ma la pandemia ha messo in evidenza tutte le storture del lavoro moderno, che, appare chiaro, è necessario ripensare dalle fondamenta.
Prima del covid-19 la vita di un genitore-lavoratore normale, come me, era: almeno un’ora di traffico al mattino, almeno 8 ore di lavoro, incontri – alcuni piacevoli, altri molto meno – bocconi amari da mandare giù, un’altra ora e mezzo di traffico al ritorno. Restavano 4, 5 ore al massimo di tempo per la famiglia, gli hobby, la spesa, le questioni personali. Qualche ora di sonno e via, si ricominciava, in un eterno giorno della marmotta.
L’equazione maggiore numero di ore di lavoro uguale maggiore produttività, è stata disintegrata e smentita per molte professioni da uno smart working che, se bene applicato, risolverebbe moltissimi problemi con cui dobbiamo confrontarci di nuovo tutti: traffico, sovraffollamento gli uffici, mancata sanificazione degli ambienti di lavoro, sostenibilità dei processi produttivi.
Spesso, da casa si riescono a fare più cose in meno tempo. Le tecnologie permettono di garantire elevati standard lavorativi e, per molte nuove professioni, di mantenere inalterato, se non addirittura migliorare la qualità dei risultati. Call, email, chat, ci permettono di essere costantemente connessi e di lavorare 24 ore su 24, ma dall’altro lato questa modalità di lavoro liquida e dilatata, rende il lavoro diluito e permette di riappropriarci dei nostri tempi e dei nostri spazi.
Insomma, tornare alla normalità lavorativa significa anche farlo con intelligenza. Altrimenti, a cosa sarebbe servita questa pandemia?