Il panettiere di Milano

Il panettiere di Milano

In questi giorni, non so perché, ho ripensato un paio di volte al panettiere che aveva un piccolo negozio sotto casa nostra, a Milano. Ormai una vita fa. Stanotte credo di averlo sognato. Era egiziano. Se non sbaglio, dato che sono passati più di dieci anni, mi pare si chiamasse Amir. Era un cristiano copto, una volta mi disse che era quasi scappato con moglie e figli dall’Egitto e sentiva Milano la sua vera casa. Aveva vissuto tante sofferenze, partendo dal nulla, ma ora si sentiva realizzato. In una città in cui non mi sono sentito quasi mai “a casa”, comprare il pane e le focacce da lui era una piacevole routine quotidiana. Aveva una grande croce dorata appesa al muro alle sue spalle e dei grandi occhi profondi, all’apparenza sempre allegri. Io ci ho sempre visto però, anche un velo di tristezza. Ogni tanto scorgevo suo figlio piccolo in un angolo dietro di lui, intento a fare i compiti. Quando mi alzavo di notte per andare a bere – verso le 3, le 4 – sentivo sempre i rumori delle sue macchine per impastare il pane. Per gran parte del giorno era lì, dietro il bancone, e aveva un gesto gentile nei confronti di tutti. Alle volte dopo aver comprato un pezzo di pane e due dolcini diceva “Sciao, bell’uomo!” e mi salutava con la mano mentre andavo via. Nessuno più mi ha chiamato “bell’uomo” in un negozio, e non soltanto perché bell’uomo non sono. Non so perché ho ripensato a lui in questi giorni, forse una forma di nostalgia per la nostra vita precedente (altra città, altro lavoro, altro stile di vita). Quando e se torneremo a Milano, con mia moglie e mia figlia, anche se il suo piccolo negozio non era proprio in centro, passerò a salutarlo. Chissà se si ricorderà di me. Io di lui, della sua storia e dei suoi sacrifici, non mi sono dimenticato.

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