L’albero delle farfalle di Paolo Mascheri

L’albero delle farfalle di Paolo Mascheri

Di questi tempi, essere scrittori significa, prima di tutto, fare promozione di sé stessi. Eventi, presentazioni, essere online, apparire. Alle volte, la forma prende il sopravvento sulla sostanza. Ci sono poi invece scrittori, come Paolo Mascheri, digitalmente schivi e riservati, che non hanno social se non un profilo facebook aperto da poco, che non scrivono ovunque e di tutto e anzi, preferiscono dosare le uscite letterarie. Paolo, addirittura, aveva smesso di scrivere. Lo dice, appunto, su facebook: “Ho passato anni interi senza scrivere nemmeno una riga. È stato nel 2017 che ho ripreso costantemente a farlo. Una sera di maggio di quell’anno mi imbattei in 20000 Days on Earth. Il docu-film di Forsyth e Pollard su Nick Cave. Sprofondato nel divano, rimasi rapito dal monologo finale accompagnato dalle note di Jubilee Street in cui Cave invitava a non essere inattivi- all of our days are numbered-, a concretizzare le proprie idee, a proteggere la piccola fiamma della propria intuizione perché attorno ad essa potevano essere costruite grandi cose… “

Ringraziamo quindi Nick Cave anche per questo, per aver ridato forza e voce nuovamente a uno degli scrittori più talentuosi della generazione nata tra i Settanta e gli Ottanta. Mascheri avevi esordito in narrativa con Poliuretano nel 2004, per Pendragon, e aveva confermato l’ottima scrittura e i contenuti con Il Gregario, minimumfax, uscito nel 2008, potente romanzo sul declino italiano e sul malessere della nostra generazione senza punti di riferimento.

Ecco, a distanza di 13 anni Paolo Mascheri torna con L’albero delle Farfalle, stavolta Edizioni Pequod. Anche stavolta l’autore si conferma, con un’opera ancora più matura e toccante delle precedenti.

Un romanzo sofferto, doloroso, che scava nei rapporti figlio-Madre e nella famiglia. I capitoli sono divisi per nomi – Costanza, Riccardo, Roberto, Eleonora – e ognuno descrive una porzione di mondo da un determinato punto di vista. Ci raccontano una storia di vita quotidiana. Ci parlano del progressivo disfacimento dei corpi umani. Ci descrivono l’incomunicabilità di una famiglia, lo sfaldamento delle certezze di un uomo – un medico di base, depresso e chiuso in se stesso – alle prese con la malattia della Madre.

L’albero delle farfalle è un libro potente e lacerante, dove i protagonisti sono due: Costanza, la Madre, ex professoressa in pensione che combatte da anni contro un tumore che non va via e suo figlio Riccardo, che ha messo in modo testardo – e, per molti versi, giusto – la lotta contro la malattia di chi l’ha generato, prima di ogni altra cosa della sua vita.

Mascheri ci racconta soprattutto il rapporto tra questi due personaggi così delicati e complessi, e il difficile equilibrio che deflagra nella famiglia – ristretta o allargata che sia – quando la malattia scombina le carte in tavola. I vari capitoli della prima parte contribuiscono ad aggiungere progressivi tasselli a questo quadro famigliare – con la figlia piccola, la moglie Eleonora, il padre di Riccardo, Roberto, commercialista preso dal suo lavoro e dagli incontri Rotariani – e tracciano meglio le coordinate di questa vita, nella campagna toscana. La seconda parte e l’epilogo, più brevi e improvvisi, segnano la conclusione del libro – Crikvenica – una conclusione deflagrante, carica di speranze (attese? disattese?), che, per scrittura e emozioni suscitate, scava nell’animo nel lettore un solco indelebile.

Il rapporto tra questa madre e questo figlio, così lontana dagli stereotipi, così genuino, semplice e sincero, emoziona in più momenti. La passione comune del giardinaggio, tra i due, si riflette nel frequente utilizzo di termini tecnici, o nomi di piante precise, come appunto la buddleia che dà il titolo al libro (comunemente conosciuta, appunto, come albero delle farfalle).

Alcuni momenti che restano ben fissati nella mente: il rapporto nonna-nipote, la scena del primo attraversamento della strada della piccola, per fare la spesa ed evitare alla nonna di entrare in bottega, di alimentare le voci del paese; le descrizioni di questo entroterra toscano, così placido e rigoglioso di vegetazione; il lungo sogno-viaggio della speranza a Milano dal dottore, il Professor Sensini, per sferrare l’ultimo attacco alla malattia di Costanza.

L’autore fa della sua prosa elegante, della scrittura equilibrata, del lessico variegato, i punti cardine del suo modo di raccontare. Non ci sono mai parole di troppo. Si direbbe scrittura “chirurgica”, ma il termine è abusato e non riuscirebbe neanche a racchiudere in realtà la qualità di questa prosa. Speriamo di non dovere attendere altri quasi 15 anni per poter leggere un altro romanzo di questa forza.

Antonio Benforte

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